Pulcinella Cetrulo rappresenta, in maniera inequivocabile, Napoli: sia perché nella sua maschera i napoletani hanno proiettato la più esaustiva immagine di se stessi, sia perché, storicamente, la maschera è stata presa in prestito a livello nazionale ed europeo.

Pulcinella è una maschera universale non solo napoletana.
Non rappresenta la caricatura di un uomo, ma dell’uomo.
(Eduardo De Filippo)

Chi è realmente Pulcinella? Chi si cela dietro questo mito d’identificazione collettiva, cosa può ancora raccontare un tale simbolo dell’identità individuale? Domande che attanagliano la curiosità e la seta di sapere di addetti ai lavori e no, di antropologi, storici, filosofi, drammaturghi e di chiunque per qualsivoglia motivi abbia a cuore le radici e la cultura di questa terra.

Pulcinella Cetrulo rappresenta, in maniera inequivocabile, Napoli: sia perché nella sua maschera i napoletani hanno proiettato la più esaustiva immagine di se stessi, sia perché, storicamente, la maschera è stata presa in prestito a livello nazionale ed europeo per scoprire e mettere in scena l’essenza socio-antropologica di Napoli. Secondo Domenico Scafoglio, Pulcinella ben individuerebbe alcuni lineamenti inconfondibili della cultura partenopea: il barocco popolaresco associato al patetismo e alla sua controparte ironica, la parodia e lo sberleffo; la carnalità ossessiva e un po’ ambigua; la familiarità col mistero e col sacro; la logorrea astratta e il suo becero controcanto, il doppio senso scatologico e osceno; la gestualità vivace e pittografica. Altro dettaglio da considerare con attenzione è che la messa in atto di figure come Pulcinella – ci riferiamo agli eroi comici, ai buffoni rituali, ai buffi teatrali, ai bricconi, universalmente presenti nelle mitologie primitive – è più ampia rispetto alla rappresentazione di figure positive, di eroi seri. Perché? Sebbene gli eroi seri incarnino le aspirazioni ideali dei popoli, quelli comici raffigurerebbero meglio la dimensione quotidiana, i lati oscuri, gli impulsi illeciti e le tentazioni più trasgressive e celate dell’uomo.

Pulcinella è il guardiano della casa e della bottega,  a testimoniarlo le sue odierne ‘comparse’ nelle abitazioni popolari napoletane in forma di statuina di gobbo portafortuna, avente in mano i celebri segni scaramantici come la scopa o il corno  o il ferro di cavallo, spesso nell’atto di fare le corna con l’altra mano. Riproduzioni del Cetrulo, talvolta di dimensioni naturali, possono essere scrutate ancor oggi tra le botteghe degli antiquari napoletani, poste sull’uscio e rigorosamente non in vendita.
Altra veste lo difensore della comunità: collocato, volontariamente, in vetta ai campanili, specchio per eccellenza dell’identità locale e simbolo della protezione del territorio da indesiderate minacce esterne.
L’usanza contemporanea di usufruire dell’immagine di Pulcinella come fattore di richiamo e garanzia di napoletanità, particolarmente a certificazione del monopolio di un prodotto gastronomico come la pizza, ha rilevanti  e più ragguardevoli precedenti nella tradizione, basti pensare che per secoli i tavernari usavano proprio la sua immagine come insegna, e lo stesso ebbero a fare i mellonari, che lo esibivano in atto di sbucare fuori da un cocomero spaccato.
E ancora, egli è, in egual modo, guardiano e messaggero della casa e della città, coniugando l’interno con l’esterno si pone come simbolo dello scambio culturale. Pulcinella è il messo per antonomasia, intermediatore verbale e sociale in una cospicua varietà di ruoli: portatore di notizie, referendario più o meno sciocco o astuto, servizievole servo, ruffiano, losco mandatario, guida e battistrada, prologo teatrale, banditore di strada. In questa veste fa la sua speciale comparsa come pastore nel presepe napoletano, spesso collocato in formato piuttosto piccolo, tra i trastulli che porgevano a Gesù, e finanche nelle chiese, nei panni di porta candele.
Buffone nazionale, è, nei panni  del venditore ambulante, del comico itinerante, del predicatore, del capopopolo e dell’imbonitore, il re della piazza, ovvero il luogo riservato all’incontro con l’esterno, lo spazio dove il nuovo e l’estraneo sono soggetti alla censura o all’acclamazione collettiva, prima di essere inglobati nella quotidianità familiare senza remore di angoscia. Ridurre l’ignoto a noto, confrontarsi continuamente con le diversità, arduo il suo compito. Francesi, tedeschi, spagnoli dipinti come i suoi antagonisti, fanno il loro ingresso nel suo teatro per essere studiati, compresi e derisi: così si delinea il teatro dell’etnicità, là dove va articolandosi il confronto etnico nel segno di una tolleranza disillusa, consapevole e vigile.

Ma quale la provenienza della maschera urbana per eccellenza, prodotto e specchio della cultura metropolitana di Napoli? I miti di fondazione lo vorrebbero acerrano, o, in alcune tradizioni di minor prestigio, di Ponteselice, ma anche di luoghi meno vicini come Giffoni o Benevento. Perché la maschera dei napoletani giungeva da quella periferia da sempre considerata luogo di demenza e sanità, di infezione e di portenti? L’extraterritorialità avrebbe consentito alla cultura urbana di tener distante gli aspetti di sé più inquieti e controversi, proiettandoli in una diversità né troppo lontana né estremamente prossima, in modo che in essa ci si potesse rinnegare e al tempo stesso identificare. Leggenda d’origine ce lo dipinge come un buffone contadino di Acerra che una compagnia di attori cittadini, dopo aver tentato vanamente di sopraffarlo nel corso di dispute comiche, arruolò in gruppo, plasmandone la maschera teatrale. I segni delle suddetti rustici avi per secoli son stati ben tracciati nella sua fisionomia (il volto caricato, il naso lungo, la faccia annerita dal sole), nell’abbigliamento (camicia e braca di tela bianca) e in taluni aspetti caratteriali e comportamentali (la ghiottoneria, la sensualità accentuata, la maniera spropositata di parlare, la goffaggine associata all’arguzia e alla lepidezza). L’acerranità, la libertà, la diversità, la marginalità, ambivalenze che ne hanno reso  una vera e propria figura di confine, liminale, tramite prezioso tra città e campagna, tra interno ed esterno.

Pulcinella è il familiare e l’estraneo, l’interno e l’esterno, e la dialettica tra questi estremi si articola nelle forme del comico: se Pulcinella è l’insieme dei contenuti che la cultura esclude dal proprio universo e che identifica con l’orizzonte che preme sui propri confini, il riso, che costituisce l’essenza del teatro della maschera, media questo rapporto con la diversità, ed è, al tempo stesso, riso d’accoglimento, che seconda l’assorbimento del diverso, nelle forme compatibili col sistema culturale, liberando dall’ansia e dall’angoscia, e riso di esclusione, che consegue il medesimo effetto liberatorio attraverso il dileggio del residuo irriducibile. (Domenico Scafoglio)

Travestitismo, metamorfosi, trasgressione, elementi che accomunano Pulcinella al diavolo. Stando ad un altro racconto di fondazione il Cetrulo nascerebbe dalle viscere del Vesuvio, in ogni tempo ritenuto simbolo della napoletanità, ma anche bocca dell’inferno e sito di portenti, uscendo dal guscio di un uovo comparso per volontà di Plutone sulla sommità del vulcano, per mezzo di un impasto opera di due fattucchiere, che imploravano un soccorritore in grado di sanare le circostanze di ingiustizia e di oppressione. Caratteri diabolici confermati dalla sua fisiognomica e dal suo abbigliamento: la maschera nera col naso lungo, gibboso e affilato, il cappello biforcuto del XVI secolo, il neo sulla fronte, simile ad un corno miniaturizzato; al diavolo rimandano inoltre la voce nasale, acuta e fessa, per lo più se realizzata con la pivetta, e il seno femmineo, chiaro indizio dell’ambivalenza sessuale; il Cetrulo, di più, ha una relazione costante, non sempre di inimicizia, col cane e il gatto, animali inequivocabilmente diabolici, e si accompagna a un suo alter ego animalesco, l’asino, animale ctonio, che vanta poteri misteriosi. Diabolico sarebbe anche il suo comportamento, spirito pazzariello, maestro di beffe, burle, capricci, bizze, piccoli divertimenti crudeli, dispetti ridicoli, scherzi pazzi e buffonerie di ogni tipo, esperto, come il diavolo, nel discorso alla rovescia, nel doppio senso, nel linguaggio escrementizio e pronto a ricorrere alla risorsa del vernacchio, caro, anch’esso, al diavolo.

Pulcinella personifica in primis il demone della lussuria, dato che egli è figura fallica e in quanto alla lussuria sono state attribuite per diverso tempo prerogative diaboliche. Egli reincarna le fantasie, immemorabilmente barbicate nella cultura popolare, del diavolo allegramente priapico, del diavolo ridicolo, del diavolo dabbene che manifestava l’esigenza di conferire una sorta di legittimità ai diritti della vita istintiva contro il tabù del sesso, male apocalittico condannato dalla predicazione religiosa, integrando così in qualche modo l’anormale alla norma. La sua fisognomica , inoltre, ben si coniuga con questa interpretazione: niente di più fallico che il suo naso priapico, grande e adunco, il mento aguzzo, piuttosto satiresco, il ventre dilatato e prominente, comune ai demoni della fecondità, il berretto arrotondato o appuntito, che rievoca similari figure falliche della mitologia e del folclore europeo. Al panorama sessuale ci rinvia quasi tutto il corredo degli oggetti di cui egli dispone, dal bastone al cordone, alla foglia di aloe, al corno, di figure falliche, del resto, si compone il bestiario cui egli si circonda, dall’asino, alla scimmia e alla tartaruga.
Pulcinella è il diavolo volubile e stravagante, insolente e vendicativo, seminatore di confusione e di subbuglio, caricatura dell’intelligenza progettuale umana, frequente mezzo di salvezza per i perseguitati e gli illegittimamente ostacolati.

Nato dall’uovo, il Cetrulo indica col suo stesso epiteto la sua origine gallinacea, esprimendola nel suo linguaggio gestuale e nella sua voce, nella fisiognomica e nel costume: il cappuccio a forma di guscio d’uovo, la testa di volatile con l’occhio pollino rotondo e il naso a forma di becco, il camicione bianco con maniconi amplissimi a forma di ali. I gallinacei erano l’emblema della stolidezza, sebbene il significato più pregno del simbolismo gallinaceo sia senz’altro quello fallico, il gallo, del resto, ancora nel XVII secolo,  era simbolo di lussuria.

Pigro, vorace, perennemente affamato, opportunista, sfrontato, chiacchierone, bastonatore spesso bastonato, Pulcinella è la personificazione comica dell’abbandono popolaresco a tutti gli istinti.
(Enciclopedia Treccani)

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