L’attualità nella musica popolare: Vesuvio de “e Zezi Gruppo Operaio” è il racconto di una contraddizione societaria, di una paura che solo la musica può allontanare, la metafora della rabbia del popolo pronta ad esplodere.

La musica non è puro intrattenimento, non lo è mai stato. La musica è comunione, unione, consapevolezza, ma anche mezzo potente per veicolare sentimenti, messaggi, valori. Come per i lavoratori delle piantagioni americane, ai tempi della schiavitù, che intonavano canti per darsi forza e riuscire a sostenere il ritmo infernale di quella vita opprimente e del lavoro, così la musica popolare dà voce ai sentimenti repressi delle persone che non fanno parte della “Classe Borghese” e dell’”Aristocrazia” (se ancora oggi si può parlare di queste classi).

In provincia di Napoli, negli anni ’70 nasce un gruppo che ha intenzione di comporre una visione della musica popolare diversa da quella della “classe borghese”: “e Zezi Gruppo Operaio”. Dopo quasi trent’anni di musica e cultura popolare, il gruppo pubblica il disco Diàvule a Quàtto, un disco che intende raccontare la terra, la Campania, ma principalmente la provincia di Napoli che vive costantemente all’ombra del Vesuvio, monito costante della fugacità della vita e dell’esistenza.

Proprio in questo disco, realizzato con lo spirito originario del gruppo, con l’intento di utilizzare la musica popolare come forma di resistenza ed eversione, si erge tra i brani “Vesuvio”, la traccia numero otto. Un brano d’impatto, corale, che mescola suoni popolari, percussioni, tammorre e cori, creando un’atmosfera intensa e viscerale, tipica della tradizione contadina e operaia napoletana.

Ad un primo ascolto, il brano può sembrare una “jastemma” contro il vulcano stesso, un lamento che inneggia contro la condanna di vivere all’ombra del Vesuvio, di essere merce nelle sue mani che da un giorno all’altro possono decidere di schiacciare, distruggere ed eliminare la vita di coloro che, tassello dopo tassello hanno costruito la propria esistenza in questi luoghi. Una prima lettura del brano suscita immediatamente un senso d’angoscia e d’impotenza data dall’inevitabilità della natura, della sua potenza maestosa e distruttiva allo stesso tempo. Ma Vesuvio, il brano di “e Zezi Gruppo Operaio”, non parla di calamità naturali, eruzioni e distruzione: il Vesuvio non è un monte minaccioso pronto ad esplodere, ma metafora del nostro Stato, di un’Italia che ormai ha dimenticato le classi sociali ai margini.

Vesuvio è una canzone di denuncia e di resistenza, che utilizza l’immagine del vulcano come simbolo della forza del popolo e della rabbia sociale pronta ad esplodere. La voce del Vesuvio, diventa quella degli oppressi, dei lavoratori sfruttati, dei disoccupati, e richiama la potenza della natura come metafora di un risveglio collettivo contro l’ingiustizia. La lava è il male necessario: serve distruggere per poter risanare; ed erompe gloriosa e minacciosa, esattamente come desidera fare il popolo che a gran voce canta, inneggia al Vesuvio stesso per trovare la propria liberazione.

Questa interpretazione, nascosta, eppure allo stesso tempo ben chiara, lampante, una volta intesa, permette alla canzone de “e Zezi Gruppo Operaio”, di toccare uno dei problemi principali appartenenti alla terra di Napoli, al meridione in generale: l’abbandono da parte delle istituzioni; e attraverso la musica contemporaneamente ne denuncia le contraddizioni e cerca una soluzione comune, unitaria, al problema: la lotta popolare.

Una canzone, dunque necessaria, e soprattutto attuale, anche dopo quasi vent’anni dalla sua creazione; una canzone che, una volta ascoltata, diventa ritornello di vita, e accende un fuoco sopito ma ancora ardente che alberga nel cuore di ogni abitante di questa terra splendida e martoriata.



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