Dal 6 luglio al 29 settembre il passo dalla Certosa di San Martino al Vesuvio non sarà mai stato così breve: una mostra che fa il punto su diverse delle suggestioni che sono andate scatenandosi nel corso dei secoli dal terrore primordiale dovuto dalla presenza opprimente del Vesuvio sul paesaggio e sulla città
Ha preso il via presso la Certosa e Museo di San Martino la mostra Vesuvio quotidiano Vesuvio universale, aperta al pubblico fino al 29 settembre 2019 e curata da Anna Imponente con la collaborazione, per la parte storica, di Rita Pastorelli. L’organizzazione è del Polo museale della Campania con Scabec (Società campana beni culturali) e con il supporto dell’Associazione Amici di Capodimonte e dell’Associazione Metamorfosi.
La rassegna fa il punto su diverse delle suggestioni che sono andate scatenandosi nel corso dei secoli dal terrore primordiale dovuto dalla presenza opprimente del Vesuvio sul paesaggio e sulla città, come vocabolo del potere ancestrale della natura sulla fragilità umana. Stando alla curatrice nell’immaginario artistico la bellezza conturbante del vulcano è considerata simbolo tragico della catastrofe, montagna di fuoco che distrugge, ma che diventa vitale e rigeneratore.
All’interno della Certosa di San Martino, uno dei più ammirabili esempi del Barocco napoletano e dalle cui logge e terrazze si può godere dell’ineguagliabile cartolina del vulcano che domina il golfo e la città, la mostra conta esposte circa 100 opere dal Cinquecento a oggi, giunte dalle raccolte del museo accanto e da altre collezioni pubbliche e private.
Assieme alle testimonianze delle eruzioni del 1631, del 1754 e del 1872, – prosegue Anna Imponente – le opere contemporanee reinterpretano piuttosto un’ansia creativa e rigeneratrice che attraverso il tempo si traduce in prorompente vitalità. Lo sterminator Vesevo leopardiano (La ginestra, 3 – 1836) può infondere all’arte un flusso incomparabile di nuova energia, così come succede in natura per la fertilità della terra, alimentate entrambe da una forza cosmica in equilibrio tra distruzione e rigenerazione. Il titolo trae spunto da quello di una mostra di Stefano Di Stasio, Vesuvio quotidiano (San Gemini, 2016) e dal titolo del recente ritratto raccontato nel libro di Maria Pace Ottieri Vesuvio universale. I due termini contrapposti offrono l’idea dalla terribilità di una natura incombente e di una socialità che si sviluppa per esorcizzarne il pericolo.
Ad aprire la Cartografia cinquecentesca di stampo naturalistico, fra cui la preziosa opera di Athanasius Kircher, tratta da Mundus supterraneus (Amsterdam, 1665), che rivela l’ingegnosa ‘fotografia’ di un Vesuvio in sezione.
L’itinerario espositivo prosegue poi con una sezione riservata ad alcune fasi del ‘cursus honorum’ del Vesuvio: le eruzioni del 1631, del 1754 e le altre che andarono ripetendosi nel Settecento, quelle del 1872. A contornare le raccolte storiche, opere paradigmatiche come L’Eruzione del Vesuvio del 1631 di Domenico Gargiulo (detto Micco Spadaro) di recentissima acquisizione, opere ispirate al tema della sacra protezione, implorata per la salvezza con il settecentesco busto reliquiario di Sant’Emidio, protettore dei terremoti e dei cataclismi (Cappella del Tesoro di San Gennaro).
L’eruzione del 1872 è il leitmotiv di una serie di immagini del paesaggio vesuviano dal vero di Giuseppe de Nittis, poste in una sala ad hoc, immagini provenienti dalla Pinacoteca civica Giuseppe De Nittis di Barletta e da una collezione privata napoletana.
Una selezione di dipinti tra Settecento e Ottocento viene arricchita dalle documentazioni artistiche di Carlo Bonavia, Pietro Fabris, Pierre Jacques Volaire, attivi al tempo del Grand Tour, che testimoniano le vedute “pirotecniche” del Vesuvio. Di fianco le opere di Tommaso Ruiz, di Antonio Joli, e altri artisti che tinteggiavano “all’ombra del vulcano”.
Uno spazio tutto suo per l’Allegoria della prosperità e delle Arti nella città di Napoli di Paolo de Matteis, opera del primo Settecento, accompagnata da una serie di galanterie e servizi in porcellana della fabbrica ferdinandea contraddistinte dal focus del Vesuvio in eruzione.
Prima assoluta e integralmente esposta la inestimabile serie di circa 100 gouache, acquerelli e stampe, consacrate all’immagine del Vesuvio, donata nel 1956 da Aldo Caselli (mecenate e erudito e docente universitario), fra cui tre tavole tratte dal volume di William Hamilton, ambasciatore presso Ferdinando IV: i Campi Phlegraei: observations on the volcanos of the Two Sicilies, Londra 1776-1779. Il volume, con tavole di Pietro Fabris, proveniente dalla Biblioteca Nazionale Vittorio Emauele III di Napoli, sarà anch’esso esposto in mostra.
A dialogare con le opere antiche circa 50 opere moderne e contemporanee: le terrecotte smaltate di Leoncillo Leonardi, della fine degli anni Cinquanta, in cui il gesto artistico impresso alla materia argillosa acquista una scabra plasticità informale; la combustione di Alberto Burri Tutto nero (1956) che rimanda alle fratture e alle bruciature della terra; il ritratto Vesuvius (1985) di Andy Warhol che ritrae il vulcano “più grande del mito, una cosa terribilmente reale”; il Senza titolo (1996) di Jannis Kounellis in ci l’elemento del carbone concretizza la naturalità della materia povera; il dipinto Odi navali (1997) di Anselm Kiefer, contaminato da piombo agglomerato e bruciature, raffigurazione epica della sofferenza umana.
Nel cortile di ingresso ad accogliere i fruitori le due sculture di Bizhan Bassiri (2006) meteoriti nel cortile, montaggio completato da Evaporazione rossa (2013), una sorta di astro solenne che guida la navata della Chiesa monumentale.
Le sculture di Anna Maria Maiolino artista italiana che lavora in Brasile, sono portatrici di un’energia esplosiva capace di modificare la materia del cemento e del raku.
La mostra procede con le opere di Claudio Palmieri, le cui forme ceramiche racchiudono il flusso lavico che prorompe invece sui dipinti; la scultura di Roberto Sironi rientra nella serie Fuoco, la quale vanta calchi in bronzo di tronchi e rami d’albero arsi trovati in natura; nelle grandi carte Adele Lotito mette a suo servizio l’evanescenza e la trasparenza del fumo per stimare e disvelare presenza e assenza; in Inferno (2018) l’artista belga Caragh Thuring trae illuminazione dalle antiche gouache napoletane, interpretandole in una pittura pastosa con le silhouette sulla cima del Vesuvio, eredi della poetica del sublime. I dipinti di Stefano Di Stasio rievocano il suo stile tra simboli e metafore, trapelante dal mondo dell’inconscio e dell’onirico; le tempere su tela del napoletano Oreste Zevola danno vita in forme archetipiche e primitive a figure di santi e di sirene, di teschi e di vulcani fluttuanti nello spazio, legate all’immaginario popolare; nelle Geografie Temporali (2019) di Sophie Ko, artista georgiana che lavora a Milano, il pigmento si amalgama alla cenere rendendo scenari volubili.
L’esposizione è valorizzata anche dalle foto di Antonio Biasiucci, maestro degli scatti sui vulcani attivi in Italia e del Vesuvio in particolare, di Giovanni De Angelis, che con Volcano rinvia al cratere come rappresentazione di repentine trasformazioni, di Maurizio Esposito, che attesta i roghi che nel 2017 hanno sfigurato il Parco nazionale del Vesuvio, e una “cartolina” di Riccarda Rodinò di Miglione, una ricreazione di riflessi nelle acque del Golfo e dalla installazione di art sound di Piero Mottola.
Lungo il percorso, in un apposito ambiente, sarà proiettato il cortometraggio di Maya Schweizer, “Insolite” (2019), conseguito con il sostegno del Goethe Institute: una affascinante carrellata di immagini del Vesuvio attuali a confronto con quelle dell’ultima eruzione avvenuta nel 1944, senza alcun nesso narrativo, ma creativa e ad alto tasso emozionale.
Per il finissage, venerdì 27 settembre, sarà esposto il catalogo della mostra, edito da Arte-m, con testi di Anna Imponente, Bruno Corà, Fernanda Capobianco, Ileana Creazzo, Luisa Martorelli, Rita Pastorelli, Annalisa Porzio e contributi di Maria Pace Ottieri e Silvio Perrella.
Per l’occasione riapriranno al pubblico i Sotterranei gotici, misterioso ventre della Certosa, che narrano la storia della sua fondazione, simbolico “cratere” del complesso certosino, da cui emergono i capolavori che questo conserva.
AL termine sarà proiettato “Sul vulcano”, il film documentario di Gianfranco Pannone.