A distanza di alcuni giorni dall’esordio mariglianese, un giovane studente ci invia una riflessione che vale la pena condividere su “Gocce d’Acqua”, installazione artistica .
Riproporre la logica de Le città invisibili, capolavoro di Calvino: definirei così l’idea affiorata alla mente di Giuseppe Ottaiano e che ha ricevuto una forma, un’esistenza concreta da mani “altre”, quelle di artisti del territorio maturi e giovani, affermati o ancora tra i banchi di scuola, ma per i quali già si pregusta un avvenire radioso:
Un poema d’amore dedicato all’Acqua, ma che alla suggestione della parola sostituisce la forza vibrante del colore. Un sogno di gocce invisibili che nasce dall’incubo di una risorsa imbevibile, o meglio invivibile. Sì, perché la grandezza di nostra Sorella Acqua risiede proprio nel non essere semplicemente acqua. L’Acqua è vita, fondamento d’ogni essere, principio d’uguaglianza e democrazia; con la sua purezza bella e trasparente, con la sua pluralità di forme, con la sua energia, con la sua forza mite e paziente, selvaggia e incontenibile insieme, l’Acqua che a onde muore/non muore mai/e muore/non muore mai/e muore/mentre immensa/fa il mare (R. Piumini) modella costantemente il territorio (in maniera particolare la nostra regione, che non a caso dispone di un patrimonio idrico grandioso). Il suo rumore bianco, la sua polifonia di scrosci, gorgoglii, ribollii, picchiettii, è in grado di tracciare una genealogia naturale, anche umana, siccome racconta il passato del territorio e la sua evoluzione, nonché come è nata e come s’è evoluta la vita in tutte le sue forme e, in quanto immensa risorsa, assoluta potenzialità, vede intrecciarsi la sua vicenda anche con lo sviluppo della téchne e, più in generale, della civiltà; inoltre, nel suo tingersi ormai da tempo di rosso sangue e nero morte, l’Acqua si mostra capace di rivelare che ne sarà della nostra casa comune e della totalità dei suoi abitanti, per il frutto delle libere scelte dell’uomo, da troppo tempo ben lontane dall’essere consapevoli. “Impiaque aeternam timuerunt saecula noctem” (Verg. Georgiche I, 468): una lapidaria sentenza del grande poeta augusteo Virgilio che sembra parlare proprio a noi quest’oggi, lui che aveva profetizzato nello stesso passo, seppur mosso da differenti esigenze: “Tempore quamquam illo (…) aequora ponti (…) signa dabant”.Quanto mai necessario risulta recuperare una visione d’insieme e un’umana solidarietà intra e intergenerazionale, affiancando ad un rifiorito sentimento verde, delle effettive misure di tutela verso un Bene Comune dalla preziosità spesso bistrattata, mai valorizzata abbastanza, anzi preclusa ai più e inserita nel grande gioco consumistico della contemporaneità.
Quel complesso di 180 monadi lignee d’acqua e arte, disseminate fuori e dentro la chiesa mariglianese intitolata a Santa Maria delle Grazie (quale sede migliore, quale dedica migliore!), ben riflette questa irriducibilità preziosa dell’Acqua, ed il tentativo (direi quasi prometeico) di persone come Giuseppe Ottaiano, di combattere la crisi integrale del nostro tempo con l’efficace arma della cultura, che smuove dentro, che silenziosamente si fa strada tra le storture e gli orrori di questa nostra incivile civiltà, piantando specie in noi giovani un germe di vita nuova destinato ad uscire presto allo scoperto e a dare il tanto atteso frutto di liberazione. Un percorso, quello inaugurato lo scorso 2 luglio, di trasversalità e genialità creativa e provocatoria, dinamitica. Un iter di emozioni, sensazioni, pensieri, inquietudini, suggestioni, riflessioni, punti di vista. Una pluralità di approcci all’arte, di tagli, motivi, tecniche, stili, dal caos di colori e forme astratte, dai motivi geometrici, zoomorfi e floreali, al mimetismo miniaturistico, passando per costruzioni di impianto surrealista o simil-dada, d’apparente disimpegno, in realtà assai ragionate e di forte impatto emozionale, prima ancora che artistico, nonché in grado di stimolare riflessioni molteplici e far da ponte tra differenti concetti e forme d’arte, musica e letteratura. Una molteplicità d’esperienze impresse sul legno, soggettive ed universali insieme, che non solo rivelano il notevole spessore culturale e spirituale di questi figli dell’arte che hanno entusiasticamente accettato l’invito di Giuseppe Ottaiano, ma che si mostrano anche in grado di arrivare attraverso gli occhi fino al cuore dell’osservatore.
Una passeggiata dannunziana senza ombrello nel fitto della pineta, nell’eroico tentativo d’indiarsi, senza opporre resistenza alcuna alle gocce ormai a terra o sospese a mezz’aria, all’ingresso della chiesetta. Un ardimentoso ritorno alle feconde sponde di Zacinto. Riprendendo il genio delle Città invisibili, un viaggio giù per i mille pozzi di Isaura, città sottile, fino alle rive buie del lago sepolto, un paesaggio invisibile che condiziona quello visibile, dove tutto ciò che si muove al sole è spinto dall’onda che batte chiusa sotto il cielo calcareo della roccia; un viaggio, dicevo, alla ricerca delle vere divinità della città, che abitano nelle profondità, nel lago nero che nutre le vene sotterranee, e di cui son solo manifestazioni gli dei più visibili e materializzati che abitano nei secchi che risalgono appesi alla fune quando appaiono fuori della vera dei pozzi, nelle carrucole che girano, negli argani delle norie, nelle leve delle pompe, nelle pale dei mulini a vento che tirano su l’acqua delle trivellazioni, nei castelli di traliccio che reggono l’avvitarsi delle sonde, nei serbatoi pensili sopra i tetti in cima a trampoli, negli archi sottili degli acquedotti, in tutte le colonne d’acqua, i tubi verticali, i saliscendi, i troppopieni, su fino alle girandole che sormontano le aeree impalcature d’Isaura, città che si muove tutta verso l’alto.
Sabatino Fatigati