In occasione della Giornata mondiale dell’acqua 2025, Terre di Campania ha chiamato a raccolta giornalisti, scrittori, sacerdoti, medici, vari professionisti e studenti del territorio, invitandoli ad una riflessione libera e creativa sul tema dell’acqua come bene prezioso da conoscere e custodire. Ciascuno ha fatto dono della sua piccola goccia nel segno della gratuità, sincerità ed originalità. Il risultato è un mare di emozioni, suggestioni e spunti di riflessione molteplici, un incontro che si spera arricchente ed edificante con l’irriducibilità preziosa di un bene unico da riscoprire e salvaguardare.

Note d’acqua nell’antichità con il contributo di Carlo Avvisati, giornalista esperto di archeologia dell’area vesuviana

Gocce di archeologia dell’acqua da Pompei e dalle città vesuviane

Carlo Avvisati

Se vi capitasse di visitare il Parco archeologico di Pompei e ascoltare una guida che durante il giro di visita agli scavi vi parla di fistula plumbea non scervellatevi ad andare a scavare tra le “parolacce” che conoscete per tentare di spiegarvi l’espressione.

Quella, la vostra guida, sta parlando di un tubo di fontana.

E poi, durante la visita, vi parlerà del castellum acquae (camera di raccolta e distribuzione dell’acqua) situato in prossimità di porta Vesuvio; e vi dirà dell’acquedotto del Serino, che passando per Pompei arrivava sino a Bacoli e a Miseno con l’obiettivo di riempire la Piscina Mirabilis, alla quale si approvvigionava la flotta del Mediterraneo. E rimarcherà come quel castellum, con l’aiuto di colonne e “troppo pieni” riforniva di prezioso liquido tutta la città. E vi racconterà di quanto importante fosse un approvvigionamento continuo per soddisfare i bisogni di un centro in cui vivevano e prosperavano ventimila e passa pompeiani, perché la vita politica, economica e sociale del centro vesuviano era legata, come per tante altre cittadine, all’acqua.

Poco importa che fosse acqua salata: Pompei aveva un suo porticciolo al quale attraccavano barche di pescatori  o barche di piccolo cabotaggio che facevano la spola tra la città e le pesanti navi commerciali, che calavano l’ancora in prossimità della Petra Herculis, l’isolotto di Rovigliano; o che si trattasse di acqua dolce, di fiume: c’era un corso d’acqua che lambiva la città sia a nord sia a sud, gettandosi poi nella piccola insenatura che stava tra Oplontis e Stabiae; o ancora che fosse acqua di pozzi artesiani o acqua piovana raccolta nelle vasche casalinghe o provenisse dall’acquedotto Augusteo, prima citato.   

Tra le altre, il fiume che bagnava Pompei, e dunque le sue acque, era una sorta di autostrada veloce attraverso la quale le merci venivano trasportate da e verso l’entroterra, ovvero quell’area che ora viene indicata come nocerino – sarnese.

Quanto poi fossero avanzate le conoscenze e la perizia degli architetti e degli ingegneri che si occupavano di distribuzione e uso dell’acqua è facile capirlo se solo si guarda al funzionamento delle terme cittadine, di quelle casalinghe, delle fontane che, anche nelle strade secondarie cittadine, servivano i pompeiani che non potevano approfittare di un impianto idraulico casalingo.

Si pensi quanto, nonostante la conoscenza empirica di principi d’idraulica, la tecnica dei plumbarii, gli idraulici, fosse eccellente, perché le valvole idrauliche, che loro o gli aiuti meccanici costruivano, dovevano avere una perfezione altissima affinché non andasse sprecata nemmeno una goccia del prezioso liquido; e, inoltre, di come fossero maestri della costruzione di cassette di deviazione e di artifici per il trasporto dell’acqua.

Persino la pubblica latrina ne trovava giovamento perché il flusso continuo dell’acqua nell’area deputata ai bisogni corporali portava via feci e odori nauseabondi.

Se poi si volge uno sguardo alle architetture fantastiche dei giochi d’acqua nelle domus e nei giardini dei ricchi pompeiani c’è solo da restare stupefatti. Così come chi visita la casa di Octavio Quartione, può toccare con mano, vedendo la costruzione di una sorta di Nilo “casalingo” (Quartione era sacerdote di Iside e dunque la sua casa ospitava cerimonie in onore della dea egiziana) nel giardino con piramidi, cascatelle e giochi d’acqua.

Di più. A Boscoreale, nella villa detta del “Tesoro” o della Pisanella, appartenuta al banchiere e prestasoldi pompeiano, Lucio Cecilio Giocondo, si è rinvenuto un impianto idraulico che, grazie al semplice utilizzo di valvole a tre vie, consentiva al proprietario di avere a disposizione acqua calda, fredda o tiepida nella vasca da bagno casalinga.

E, ovviamente, a volte, e magari anche spesso, l’utilizzo dell’acqua, oltre che per irrigazione, per la cucina, per bagni e abluzioni, aveva un uso del tutto improprio, come attesta quella scritta sul muro di una bettola di Pompei che testimonia quanto fossero imbroglioni gli osti cittadini e rifilassero ai clienti vino annacquato: TALIA TE FALLANT UTINAM ME(N)DACIA COPO TU VE(N)DES ACUAM ET BIBES IPSE MERUM.

Ovvero: “Vorrei che tali inganni ti si ritorcessero contro, oste: a noi vendi acqua ma tu bevi vino sincero”.

Con buona pace di beoni e affini.

 

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