Il lavoro complicato e impegnativo di Mariano Nuzzo, soprintendente SABAP area metropolitana di Napoli Carlo Avvisati “Volevo fare medicina, quando dopo la maturità si trattò di scegliere la facoltà universitaria a cui iscrivermi. Ma, non avendo superato i quiz che servivano per l’ammissione, ripiegai sulla prima passione che poi era quella per l’Architettura, considerando anche che questa disciplina mi era familiare perché in famiglia c’è una lunga tradizione nel settore”. Si racconta a “Terre di Campania”, Mariano Nuzzo, quarantasette anni, architetto, sposato, tre figli: due maschi e una bimba, direttore, dal 2023, della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli, premio “Terre di Campania” per il 2024 per la sezione “Archeologia”. Lunghissimo, il suo curriculum, fatto di specializzazioni e master, di esperienze professionali su restauri e progettazioni, di incarichi di ricerca e commissioni, docenze, tutoraggi, e di impegno nella Segreteria Tecnica del Parco Archeologico di Pompei, prima, e poi nello stesso parco archeologico, successivamente.
Voleva rompere con la tradizione? “Si, davvero volevo rompere – riprende – anche perché al liceo mi ero appassionato tantissimo a quest’altra disciplina”. E poi, dopo la laurea, la libera professione? “Non subito. Sono passato dalla laurea al dottorato di ricerca, poi a una borsa di studio, quindi sono arrivate le specializzazioni e gli incarichi a contratto e, ancora, il Grande Progetto Pompei e poi il Parco archeologico. Insomma un percorso molto, ma davvero molto, variegato”. Quanto è difficile fare il direttore di una soprintendenza mostre come quella SABAP della provincia di Napoli? “È complicato – riprende Nuzzo – In quest’area se non si è in sintonia con il territorio è difficile tanto lavorare quanto avere interlocuzioni per avviare ogni genere di attività. Il primo scoglio è questo. Una volta entrati in sintonia, però, il territorio è come se ti abbracciasse. Quindi diventa tutto più semplice. È chiaro che parliamo di contesti comunque difficili, dove le risorse sono sempre esigue e dove si parte sempre da situazioni molto complesse. Vede, anche avviare un semplice intervento vuol dire risolvere problematiche che magari sono ferme da anni e che per riprendere il normale percorso hanno bisogno di un loro tempo”.
Ci si scontra con gli enti locali? “Il territorio è variegato e complesso. Ecco, quello delle isole è diverso da quello della terraferma. Le aree costiere sono differenti dall’entroterra. Il territorio sorrentino ad esempio è già ben disposto a riconoscere i valori paesistici, diversamente dai territori interni densamente conurbati come succede per Napoli e Caserta, per intenderci. Anche se, nell’ambito di questi stessi territori c’è poi diversità tra i comuni confinanti, perché ciascuno di essi ha una storia sua e proprie dinamiche. Come, ad esempio, nell’area di Suessola, l’odierna Acerra, dove troviamo delle realtà positive nelle associazioni che lavorano e tengono molto al loro territorio, e dunque segnalano e tendono a valorizzarlo al meglio. Ciò appunto si verifica nel caso del museo di Acerra che ha una sua precisa identità, che loro sentono e, dunque, proteggono. È così complicato fare il soprintendente in territori nei quali c’è campanilismo? In certi ambiti, sicuramente. Tendono molto ad essere al centro, chiedono una presenza costante, chiedono cura del territorio. Sono territorio complicati, molto devastati da quali spesso ci arriva un grido di aiuto. Quale settore è più difficile da dirigere, tra quelli Sabap. Nell’area metropolitana sicuramente il paesaggio, perché la sua tutela è molto difficile in quanto ci troviamo di fronte ad aree profondamente trasformate e tutte le leggi di tutela sono arrivate solo dopo le immani trasformazioni che ci sono state. Ecco, è un poco come combattere contro i mulini a vento. Pensi che ci troviamo di fronte a una stratosferica quantità di condoni: a volte anche tra i cinquemila e i seimila per cittadina. Numeri spaventosi. A seguire ci sono il settore dell’Archeologia, quello dei Beni architettonici e, infine, l’altro dei Beni storico artistici. Tenga conto che gli interventi sul paesaggio assorbono l’ottanta per cento dell’attività ordinaria. Invece l’attività d’investimento va spalmata sugli interventi archeologici e poi sugli architettonici. Con prevalenza degli archeologici. Poi ci sono gli interventi di punta come nella villa “Favorita” a Ercolano, che rientra nel PNRR, e che superano i trentadue milioni di euro. Ma si tratta di un unico intervento. Quindi abbiamo operazioni di restauro di entità minore come nella Reggia di Portici o alla Certosa di Capri. In archeologia, tra gli interventi in area Tav e quelli di archeologia preventiva abbiamo avuti risultati eccezionali. Un esempio è quello della “Tomba del Cerbero” di Giugliano.
Come riesce a conciliare l’impegno con le esigenze familiari? “Con un grandissimo aiuto da parte della famiglia, specie in questo momento in cui ho da seguire anche Caserta e Benevento: il tempo è parecchio contratto. Alla fine si fanno spesso le dieci di sera in ufficio: per pratiche arretrate o da mettere in opera, resto chiuso quasi tutte le sere o dentro Palazzo reale o nella Reggia e devo chiedere costantemente al custode di aprirmi, per uscire. Che pensa del premio Terre di Campania che Le è stato assegnato? “Sono molto molto onorato di riceverlo. Anche perché trattandosi di un premio che va a chi ha fatto e operato in queste aree significa che chi lo riceve ha provato a lasciare qualcosa per il territorio. E questo è solo un bene”. |